ZIPPO - Maktub
91/100
Osservate, per approcciare il nuovo “Maktub” degli Zippo, la copertina. È un’immagine strana: accattivante ma sfuggente, vagamente fredda e criptica, ma non asettica; quasi impalpabile, ma non astrusa; intimista, ma comunque chiara. Sembra un’immagine dalla doppia personalità, della quale si riesce a cogliere ognuno di questi elementi separatamente, ma mai insieme.
Il terzo album dei pescaresi Zippo è così. È un album che a differenza dello strutturato, lungo e diviso in vari capitoli, nonché precedente “The Road To Knowledge”, è un album che in poco più di 37 minuti condensa 7 canzoni dalle atmosfere molto rarefatte, amorfe, con una batteria praticamente sempre in tempi dispari, un basso che tesse incessante le sue tele, con le chitarre che disegnano trame acide e psichedeliche, ma che non sono quasi mai sopra le righe o predominanti, salvo nei momenti più duri di “Man Of Theory”, rispetto agli altri strumenti pur se contortissime, e con un Dave che per tutto il disco disegna vocalizzi ora soffusi, ora più d’impatto. E il tutto è riversato in uno stile assolutamente ipnotico, unico e personalissimo, che abbatte ciò che di ordinario (poco) era presente nel precedente disco, e che fa entrare di diritto gli Zippo nello sperimentalismo più allucinato dei migliori nomi del genere. Il tutto viene sposato con una resa sonora abbastanza spessa, ma - senza impatto - morbida e praticamente senza spigoli, molto leggera e sognante, talmente tanto che si ha spesso l’impressione di ascoltare un disco jazz proprio per la morbidezza del suono, o alternative in altri frangenti (senza quindi i chitarroni tipici dello stoner). E tutto questo viene eseguito con una cangianza di stili pazzesca, che a volte cita la psichedelia di brani come “The Omens” e soprattutto “The Treasure”, altre volte torna ad essere più d’impatto tipicamente stoner, come nella bellissima “Man Of Theory”, mentre canzoni come “Simum” sono cantilenanti e assolutamente ossessive, per non parlare dell’altro highlight del disco, ovvero la grande “We, People’s Hearts”, che sembra quasi una ballad triste ma tumultuosa e su tempi dispari!Se siete confusi, sappiate che questo disco ha spiazzato molto anche me, e prima di scrivere queste righe ho dovuto riascoltare il cd 4 volte, ma è un disco che, per quanto difficile da ascoltare, davvero non può che far fare piazza pulita agli Zippo, che mostrano con questo album di saper scrivere brani praticamente senza alcun limite di songwriting e di influenze. Certo, citando la precedente recensione su “The Road To Knowledge”, pare proprio che il brano rockettaro gli Zippo non vogliano farcelo sentire, ma dopo l’ascolto di questo disco (non l’avrei mai detto) non ne sento assolutamente il bisogno: gli Zippo ci vanno bene così, punto! Questo “Maktub” è un album praticamente senza difetti, progressivo e psichedelico. Davvero unico. Quasi impossibile da descrivere e recensire, ed unicamente da ascoltare. Il giudizio finale, sic et simpliciter, premia una band che ha veramente sfornato un capolavoro, che batte di gran lunga i suoi precedenti dischi, umilia i pochi punti deboli dei precedenti platter (ovvero trame di chitarra che nel secondo disco cominciavano a farsi un po’ prevedibili e sullo stesso solito stile), strapazza i luoghi comuni di questi generi musicali qui proposti, stritola i wannabes delle chitarre ribassate, ipnotizza l’ascoltatore e lo seduce attraverso veli di musica impalpabili, ma dannatamente efficaci. Chissà come accidenti hanno fatto a comporre questa pietra miliare!?Snarl
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