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Potremmo parlare di "The personal legend", la sinuosa opening-track che si muove tra progressioni e repentini cambi di tempo dettati dalle chitarre. O di "Man of theory", con un pezzo di storia come Ben Ward degli Orange Goblin alla voce. O ancora dello ZU grind sax di Luca T. Mai, che irrompe in due pezzi, lasciando dietro di sé una scia di jazz bastardo. Insomma, tante tessere messe l'una accanto all'altra, a formare un mosaico di colori difficili quanto affascinanti. Un po' come pensare agli Ufomammut meno apocalittici o ai Tool di "Salival".
Un groviglio all'interno del quale a farla da padrone è la voce di Dave, quasi mantrica nel suo salmodiare liriche che prendono le mosse da "L'alchimista" di Coelho. Al di là delle influenze che possono essere più o meno rintracciate, però, quello che dopo svariati ascolti emerge è la grande personalità del gruppo. Che finisce col plasmare l'intero contenuto dell'album, sputando fuori sonorità potenti e abrasive e regalandoci così un disco di rara qualità.
Marcello Farno
www.rockit.it
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